Sentieri ciclabili. La ciclovia - apassolento.com
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ciclovia sul pian dei cavalli

Sentieri ciclabili. La ciclovia

La ciclovia. Era la metà giugno e in una domenica di riposo dai Camp sono finito senza volerlo su una di queste nuove infrastrutture.

E’ stata una vera esperienza.

Ormai sorgono davvero come funghi e stanno tanto facendo discutere addetti ai lavori e non.

Opportunità di sviluppo o speculazione?

La ciclovia. Non sapevo fosse lì. Normalmente la evito come la peste.

Sarà pure una presa di posizione a priori, sensata o meno, ma così come stanno nascendo, ricalcando in parte e allargando i preesistenti sentieri, proprio non mi piacciono.

Ne è previsto un utilizzo promiscuo, e ritengo non solo insensata ma anche molto pericolosa la convivenza tra escursionisti e ciclisti.

Là dove non arrivano le mulattiere ma solo i sentieri il buonsenso mi dice che non è piacevole nè per un ciclista dover scendere a freni tirati perchè potrebbe trovarsi dietro una curva una persona, nè per l’escursionista salire sperando che non gli piombi una bicicletta in fronte.

Le valutazioni ambientali dovrebbero essere lasciate ai tecnici, la realizzazione a quello che le leggi permettono, le riflessioni legate allo sviluppo economico di un’area anche se spesso puzzano tremendamente di speculazione edilizia sono certamente comprensibili… ma quello su cui vorrei focalizzare l’attenzione è la perdita culturale e identitaria che comportano queste nuove infrastrutture quando realizzate con leggerezza come si sta facendo.

La montagna da sempre è luogo che si piace tingere di resistenza identitaria; di tradizioni e culture peculiari.
Ebbene: i sentieri fanno parte di questa identità forse più di ogni altra cosa.
Cambiano le greggi, cambiano le persone, cambiano i tempi e le calzature che li calpestano, ma i sentieri no, quelli restano, più o meno invariati, sono la testimonianza del passaggio delle persone negli anni.
Pensate al successo che stanno avendo le “antiche vie”, al loro valore culturale prima che paesaggistico in senso stretto.
Una rete sentieristica è la storia della comunità che l’ha plasmata a suon di passi.
E a chi mi risponderà che raddoppiare e spianare un sentiero per renderlo fruibile alle biciclette non è un così grave danno al paesaggio rispondo: non è vero, tutt’altro.

Ferite

Trasformare il sentiero in ciclovia è una ferita mortale aperta nel paesaggio culturale di un territorio.

La prima cosa che ho notato nel passaggio da sentiero a ciclovia è quanto quest’ultima monopolizzi l’attenzione del camminare.

Durante un’escursione lo sguardo segue passi e pensieri, è un po’ come una scimmia impazzita che si posa su massi, ciottoli, animali, nuvole, cime, riflessi ma anche odori e rumori.
La ciclabile imbriglia tutto questo. E’ una presenza ingombrante. Lo sguardo la segue. Piedi, pensieri e sensazioni anche. Non ti permette di attraversare un luogo, solo di passarci sopra.

L’altra cosa che invece mi è subito balzata all’occhio è quanto per un’escursionista queste nuove infrastrutture non abbiano senso logico.

Ti fanno effettivamente sentire un po’ pirla. Ancor più quando un breve tratto di preesistente sentiero ormai abbandonato sbuca fuori sull’altopiano confermando che sì, fai bene a sentirti un po’ pirla.

Il camminare segue il percorso più sensato: la via più breve, più facile, per fare meno fatica.

La ciclovia no.

La ciclovia è pensata per le biciclette non per le persone, segue a larghi tornanti fiato e gambe di chi magari non ne ha e per forza di cose quindi allunga… mi viene però da pensare con un pizzico di malizia: anche per impegnare tempo… …

Vittima e carnefice

La prima vittima di questo cambiamento a mio parere è proprio chi in montagna ci abita. E devo purtroppo constatare che normalmente è proprio chi si professa profondamente legato al territorio, chi ci vive quotidianamente e addirittura ha deciso di spendersi per amministrarlo, a compiere questo delitto silenzioso nei confronti di un’identità sempre più negata, sicuramente con l’avvallo di gran parte delle genti con cui condivide(va) questo essere (s)radicato in un luogo.

Un’identità sempre più negata inseguendo un modello di montagna assoggettata al turismo generalista: quello del “tanto” e dell’infima qualità, fomentato da una per definizione limitata visione locale (o forse sarebbe meglio dire localizzata), dettata più dal campanilismo per quello che fu, piuttosto che dalla consapevolezza del presente e da un idea del futuro che non prescinda da tutte quelle complesse dinamiche di trasformazione che caratterizzano territorio, società, economia, ambiente odierni.

Ma quindi, ste ciclovie?

Come ovvio che tutto si muove anche la montagna va verso il suo cambiamento. Ritengo però che questo dovrebbe rispettarne i ritmi secolari, l’identità, tutto quel mondo di specificità plasmate dal tempo.

Muovendosi certo dove le leggi permettono probabilmente sarebbe più consono individuare percorsi ex novo, e che escursionisti e ciclisti abbiano quindi percorsi dedicati ed esclusivi.

Ciò aumenterebbe la sicurezza, l’offerta turistica, avrebbe risvolti economici nel breve e nel lungo termine.

Per quanto riguarda i percorsi, per la tutela in un mondo perfetto dovrebbero bastare norme, leggi e stati di protezione, cose con cui spesso le istituzioni si puliscono il didietro. Poi certo ci sono il saper fare dei tecnici, ma anche di tutte quelle persone che del territorio non hanno perso l’identità e che possono mettere a disposizione le proprie competenze per scoprire, riscoprire magari, e mettere in rete in modo più ragionato e sostenibile dal punto di vista ambientale e paesaggistico tutte quelle infrastrutture più consone e sicuramente in buona parte già esistenti sul territorio.

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gionata pensieri
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