Raccontare il silenzio
Sovraumani spazi ed infiniti silenzi.
Se ci pensate sono due delle caratteristiche che siamo soliti attribuire alle nostre montagne.
Seduti su un poggio, sotto un albero, in mezzo ad un bosco, in riva a un lago o a ridosso di un sonoro ruscello abbiamo certo fatto esperienza del silenzio ed abbiamo, magari anche solo per un attimo, compreso quanto questo elemento sia parte integrante del paesaggio e, in tutt’uno con esso, parte del godimento insito nell’andare per monti.
Definire il silenzio
Il primo problema che ci si pone quando parliamo di silenzio è definirlo senza romperlo, per poterlo eventualmente andare a cercare e trovarlo: sembra banale ma non lo è.
Il secondo è quello di fare ordine tra le diverse sfaccettature in cui si può declinare il tema; si possono riassumere in tre ambiti: quello ambientale-scientifico, quello psicologico-individuale e quello sociologico-espressione dei costumi di una società.
Veniamo al primo problema…
Ci viene in soccorso l’aspetto ambientale-scientifico del silenzio.
Il silenzio-entità può essere ricercato seguendo il metodo scientifico, trasformare il silenzio in “dato” e oggetto di studio può aiutarci a comprenderne la complessità, la rarità, e di conseguenza il suo valore, oltre che a definirlo.
La scienza non si esprime per opinioni, ma per fatti supportati da dati. Se uno scienziato dice che una cosa è rossa lo è perchè ha dei dati che supportano le sue parole. Se un altro scienziato dice che la stessa cosa è blu lo è perchè allo stesso modo ha dei dati che lo supportano. Sta alla comunità scientifica fare ancora ricerca, revisione, e far luce sul perchè un oggetto è rosso oppure blu.
Tornando al silenzio: il suo valore oggettivo è riscontrabile anche in termini evoluzionistici, intrinseco nelle caratteristiche della nostra capacità di udire. Questo vale certamente anche per altri animali, ma prendendo in considerazione solo l’uomo è forse più semplice comprendere il metodo applicato per definirlo, e quindi “misurarlo”.
Le frequenze a cui il nostro orecchio è più sensibile non appartengono in alcun modo al mondo antropico. Non esistono suoni riconducibili all’uomo od alla sua attività che che ricadono in questo gap (uno ce n’è in verità…).
Uno scienziato, biologo, come Gordon Hempton nella sua ricerca ha definito quindi come silenzioso un luogo in cui in determinata fascia della giornata e per determinato tempo non si oda alcun “rumore” umano.
Il suo è un lavoro di catalogazione dei luoghi silenziosi sul pianeta. E’ utile dire (ma potete immaginarlo) quanto essi stiano divenendo rari.
Il silenzio nella mente
Ci sono anche connotazioni che rimandano ad anima e psiche nel silenzio.
La letteratura su questo argomento è vastissima.
Il silenzio è un’esperienza, un’esperienza non solo passiva. Se riusciamo a trasformarlo in un qualcosa che non è accidentale, attraverso il suo “suono” possiamo conoscere meglio gli ambienti ma anche noi stessi.
“Fermiamoci ad ascoltare, ci sarà molto da scoprire” dice Mario Rigoni Stern nel suo “Stagioni”. Anche noi siamo natura ed i pensieri sono come una scimmia dentro la testa.
Il silenzio esterno può aiutare a “sedare” questa scimmia ed a trovare un certo silenzio anche interiore. Aiuta a rilassarsi, anche a fare ordine tra i pensieri in modo che questi fluiscano in modo più lineare.
Il silenzio può essere anche specchio dello stato d’animo. Può essere stimolo di riflessioni, un modo anche per riavvicinarsi alla propria spiritualità, legato com’è a doppio filo all’atto del camminare, pratica che porta chiaramente in sè alcuni caratteri della meditazione.
Avete mai provato a camminare scalzi? E’ la quintessenza del camminare silenziosamente: una marcia che si fa percorso attraverso il silenzio, attraverso quel silenzio che eleva allo spirito e come tale richiede attenzione.
Silenzio critico con la società. Osservazioni sull’industria della montagna.
Il silenzio può essere inteso anche come unità di misura dell’antropizzazione delle montagne. Può quindi avere anche un’accezione negativa, quando questo è legato al “vuoto”.
Il silenzio vuoto è conseguenza dell’intendere le montagne in modo superficiale, come se esistessero solo nei periodi in cui le città ci si spostano, quelli legati alle ferie estive o all’industria dello sci. Negli altri periodi il silenzio è infatti quello degli alberghi vuoti, degli impianti chiusi, frutto del controesodo delle persone.
Visto in quest’ottica il silenzio sottolinea un sistema malato: quello che si basa sul trasformare la montagna in un’appendice cittadina.
Oggi assistiamo ad uno svuotamento: prima di tutto di significato.
“Avvicinare le montagne”, “sostenibilità”, “turismo ambientale” sono tutte locuzioni nobili ma ormai prive di significato, fatte proprie dall’industria del turismo (e non solo) che fagocita slogan ed evita di farlo con i contenuti.
Bisognerebbe portare la montagna in città e non viceversa. Le emozioni di plastica sono riproducibili e, come la medicina insegna, un’appendice infiammata la si taglia.
Luoghi, individui, ambiente: un tutt’uno. Abbandonare la visione antropocentrica dell’uomo (tanto cara anche a certo ambientalismo) in favore di una visione ecocentrica del mondo. Promuovere una frequentazione ed un generale vivere fatto di rispetto, autoregolamentazione, responsabilità personale, presa di coscienza.
Abituare un pubblico confinato in città che tutto sono fuorchè a reale misura d’uomo ad una corretta frequentazione dei luoghi, rispettosa di sè, dell’ambiente e degli altri. Questa è la sfida.